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Censura social: alba di una dittatura totalitaria globale

post ospite di M. Matteo

Fronte libertà – il 2021 non poteva iniziare peggio. Limitare le libertà sui social, quelli che alla loro origine venivano visti come spazi aperti assoluti dove non si perseguivano le idee di nessuna corrente e nessuna opinione legittima veniva oscurata, oggi sono diventati gli schiavi per eccellenza del sistema.

Le società private che si arrogano il diritto di selezionare cosa è vero da cosa è falso, cosa è giusto da cosa è sbagliato, cosa è realtà da cosa è finzione, esclusivamente con criteri soggettivi, automaticamente diventano responsabili di qualsiasi testo, immagine, video che rendono pubblico sotto forma di post o commenti. Devono quindi sottostare alle leggi degli stati e nazioni in cui esercitano il proprio predominio sul web marketing. Sono quindi direttamente responsabili di insulti, blasfemia, diffamazioni, odio, minacce e qualsiasi altra forma di aggressione verbale punibile penalmente che compare e viene lasciata in bella mostra tra le pagine del servizio offerto dalla stessa società. Esattamente come ciascun editore di ogni quotidiano cartaceo, rete televisiva, radiofonica o di qualsiasi ente mediatica privata che raggiunga un pubblico.

I social non sono esonerati dal rispettare la legge, nel momento in cui essi stessi diventano editori devono rispondere in prima persona di ciò che pubblicano o non consentono di pubblicare. La censura adottata da queste società, a seconda delle committenze, fa cadere di fatto il velo di ipocrisia che ha sempre circondato i social network, ossia “puoi scrivere ciò che vuoi purché non dai fastidio a ME o a chi MI PAGA”.

La censura social è grave per tutti, politici di sinistra e destra, atei e credenti, vip e persone comuni.

>>Francia: centinaia di messaggi jihadisti postati su pagine Fb di “Le Monde” e altre testate<<

Se spesso ciò che deve venire censurato davvero resta in bella mostra a tempo indeterminato, prima che magari delle segnalazioni di massa attirino l’attenzione degli algoritmi dei social, al contrario, molto rapidamente oggi si assiste alla censura del libero pensiero. A gennaio del 2021 ha fatto molto scalpore la censura, o meglio la disattivazione, degli account del presidente uscente dei Stati Uniti, sui principali social mondiali (Faceboock, Twitter, Instagram..). Qualche tempo dopo, più vicino a noi, è toccato al romano Federico Palmaroli, molto famoso per i suoi meme sui politici – https://it-it.facebook.com/lepiubellefrasidiosho/ – poi riattivato in seguito, adducendo che si è trattato solo di un banale “errore”. La deriva social non è l’unica a cui stiamo assistendo di questi tempi.

Qualche giorno fa, è stato intervistato a radio RTL il Presidente dell’Associazione Nazionale Primari Ospedalieri Lombardia, Carlo Montaperto (dal minuto 03:21). Fate caso al comportamento dei conduttori (dal minuto 07:30) quando Montaperto spiega concretamente come si eseguivano i protocolli sanitari, riguardo i malati da intubare, in tutti gli ospedali nazionali ad inizio pandemia covid-19.

Oppure ancora, in TV, La7, un’altra forma di deviazione dell’etica morale giornalistica riguarda la distorsione dei fatti reali mediante l’utilizzo di filmati (addirittura scene prese da un film famoso nel caso del video di seguito, ai limiti del ridicolo) falsati, o montaggi creati ad hoc per manipolare l’opinione pubblica.

Al di là delle preferenze personali, che porta il singolo individuo a gioire o a preoccuparsi a seconda di chi la censura o gli attacchi mediatici colpiscono, è importante capire che questa deleteria deriva liberticida riguarda tutti, oggi sono colpiti Tizio e Caio, domani chissà.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.”
Martin Niemöller

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